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Il Fattore Q. (Parte II)


Riprendiamo il discorso interrotto alla fine della prima parte, (puoi leggerla qui), dove avevamo preso due situazioni tipiche di applicazione non vincente del fattore Q.

Un terzo esempio si riscontra quando si parla di apprendimento motorio, o, se vogliamo dirla in modo più banale, quando si studiano delle nuove tecniche. È vero che per imparare qualcosa di nuovo sono necessarie moltissime esecuzioni. Bastano forse poche decine per un apprendimento “a grandi linee”, ma per lo sviluppo della capacità di trasformazione, di estrema importanza nell'ambito situazionale quale è lo sport da combattimento, si entra nell'ordine delle migliaia e anche oltre. Tuttavia è importante considerare che ancora prima di questi numeri è importante curare la bontà delle ripetizioni.

Prescrivere ad esempio 300 esecuzioni di una determinata tecnica per apprenderla o per perfezionarla, di per se' può addirittura essere controproducente: dopo un certo numero subentra infatti la stanchezza di tipo nervoso e, successivamente anche muscolare. Ne consegue, che l'esecuzione andrà necessariamente deteriorandosi man mano, e alla fine dell'allenamento, l'atleta avrà al suo attivo magari 50 ripetizioni valide e 250 approssimative. Il peso delle seconde sarà decisamente maggiore e rimarrà quindi impressa, a livello coordinativo nel sistema nervoso, l'esecuzione imprecisa piuttosto che quella corretta!

Diventa allora molto più produttivo, piuttosto che stabilire a priori un certo numero (fattore Q), richiedere il massimo numero di ripetizioni possibili a patto che l'esecuzione sia sempre buona (magari controllata da un compagno); quando questa inizia a decadere, l'atleta deve fermarsi (gli si dia una catena da mordere nel caso sia troppo impaziente di ripartire), recuperare e solo poi iniziare ancora. Man mano, col succedersi delle sedute, si cercherà di conservare la bontà del gesto per più esecuzioni e allora sì che potrà accumulare numeri utili a rendere sempre più precisa una tecnica. Una volta che l'atleta ne è padrone, è il momento in cui inizia ad avere senso utilizzarla anche (ma non solo!) in ripetute lattacide, dove la perfezione del gesto necessariamente va decadendo man mano che sopraggiunge l'affaticamento.

Come consigliamo sempre nei nostri corsi e come probabilmente ripeteremo spesso nei prossimi scritti, nessun esercizio è di per se' buono, cattivo, eccezionale o inutile... dipende tutto dal contesto, dai tempi, dai modi e dagli scopi per cui esso viene scelto. Quindi, per riassumere, possiamo dire che, se non valutiamo come sono portate le ripetute al sacco, le tecniche di calcio o le proiezioni al tappeto, ma se ci limitiamo solo a contarle, ciò non ci dirà in realtà molto sui concreti progressi dell'atleta.

Un ultimo breve punto, che in realtà tocca l'argomento programmazione, di enorme importanza ma che, ancora più degli altri richiede ben più di un articolo per essere approfondito, riguarda i microcicli di recupero, ovvero quelle entità strane e misteriose il cui nome provoca rischiosissimi shock anafilattici a certi allenatori improvvisati.

Ma non si scappa: con l'opportuna modulazione in base alla persona, alla situazione e ad altre variabili, è necessario che l'atleta sia periodicamente messo a riposo.

In base alla legge della supercompensazione, modello riportato in ogni testo che parla seriamente di preparazione atletica, l'allenamento crea lo stimolo, ma la risposta adattiva dell'organismo, viene solo dopo lo stress a cui è stato sottoposto, con il recupero. Questa insindacabile verità si applica su tutte le scale, a partire dal singolo microciclo alla programmazione semestrale o annuale. Quindi se abbiamo un atleta che si è sbattuto per tutto l'anno, e noi gli prescriviamo di darci dentro allo stesso modo anche ad agosto (fattore Q), magari con le frasi in grassetto su internet, non gli stiamo facendo un buon servizio. Oppure è il caso che l'atleta è così sottoallenato che in realtà può andare avanti sempre a ripetere passivamente la seduta tutte le settimane, tutto l'anno, ma, credeteci, non è un buon segno.

Va da se' , quindi, che non è stregoneria se invece l'atleta che si è allenato bene molla i pesi e i circuiti per un mese, va a divertirsi e cazzeggiare al mare, quando torna stranamente è più grosso, più reattivo, più in forma di prima... è una cosa normale! L'importante è che si conosca quanto devono essere lunghi i recuperi. Troppo non va bene, ma sicuramente nemmeno troppo poco.

In chiusura di questo articolo, vogliamo sottolineare e chiarire che non stiamo sostenendo la necessità di abbandonare gli allenamenti di volume e di quantità. Anche questi certamente, contestualizzati e dosati con criterio in base alle variabili del caso, contribuiscono a far crescere un atleta sotto diversi aspetti. Ci preme però invitare i lettori a considerare che basarsi solo sul fattore Q, per quanto semplice, è molto lontano dall'ottimo, spesso addirittura controproducente, e finisce per favorire lo sviluppo solamente di un certo tipo di atleta lasciandone altri al palo, non performanti (“Non è dotato...”) o infortunati, mentre, con altre ricette, questi potrebbero sorprendentemente emergere.

Non ci vuole una gran scienza per inventarsi qualche routine bislacca che metta in difficoltà e faccia stramazzare di fatica una persona, appiccicandoci a sproposito l'etichetta di “allenamento funzionale”, ben diverso invece, è cercare uno stress positivo che la porti a costruire in qualche tempo una prestazione eccellente.

Per chiudere il cerchio, quello che per ora, come primo concetto introduttivo vogliamo raccomandare, è che un allenatore interessato a crescere e a far crescere i propri allievi, inizi a prendersi cura dell'altro fattore Q: la qualità.

Autore dell'articolo

Ruben Mantin Docente UIPASC Strength trainer base certificato FIPL / AIF Preparatore atletico di Karate, K-1 e MMA Insegnante di Karate a contatto pieno e Shotokan Karate

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